L’allegoria della fortuna è un dipinto, olio su tela realizzato da Giovanni Luteri, conosciuto come Dosso Dossi, tra il 1535 ed i 1539. Dipinto di grandi dimensioni , 178 x 216,5 cm, si conserva oggigiorno a Los Angeles presso il J. Paul Getty Museum.

Il dipinto rappresenta due figure nude disposte in un finto rilievo: a sinistra è presente un uomo e a destra una donna. Le due figure si stagliano su uno sfondo completamente nero, il quale rende il dipinto atemporale: non vi è un riferimento ad un dato momento del giorno. Lo spazio , invece, è dato dal suolo erboso sul quale le due figure poggiano.
Come sostiene Peter Humfrey “ le due figure hanno in tutta evidenza un carattere esclusivamente allegorico, insolito nell’opera di Dosso”[1]
Partendo dall’analisi della donna, essa è posizionata, come già citato, sulla destra del dipinto completamente nuda. I vari attributi che possiede la potrebbero identificare, come sostengono Dawson Carr, Ferino Pagden e Ciammitti, con la dea della Fortuna presente nella mitologia romana la quale corrisponde alla Dea Thyche della mitologia greca. Fortuna ,dea del caso e del destino ed elargitrice di abbondanza, viene rappresentata nuda con un mantello ocra che le fluttua sopra la testa, in mano sorregge una cornucopia ricolma di frutta. Il drappo dorato rigonfiato dal vento è una bellissima soluzione adottata da Dosso per far capire all’osservatore la mutevolezza della fortuna che è volubile nei suoi favori. Altro attributo presente è la cornucopia: deriva dal latino “cornu” corno e “copia” abbondanza, letteramente corno dell’abbondanza ma è anche chiamato corno di Amaltea. Amaltea è considerata nella mitologia greca la capra che allattò Zeus sul monte Ida, a Creta; quando quest’ultimo diventò re degli dei decise di ringraziarla conferendo alle sue corna il potere di esaudire ogni desiderio[2]. Spesso la dea della fortuna veniva rappresentata, come sostiene Cesare Ripa, come “Donna con gl’occhi bendati… Si dipinge cieca communemente da tutti gli autori gentili, per mostrare che non favorisce più un uomo che un altro, ma tutti indifferentemente ama et odia, mostrandone que’ segni che l’caso le appresenta ”[3], raffigurata anche come “Donna a sedere sopra una palla”[4]così Dosso raffigura la divinità.
Essa siede su una sfera di cristallo, che sotto il peso della figura assume una forma ovale: è in equilibrio precario, sembra che la sfera stia per scoppiare da un momento all’altro. Attorno alla bolla si può osservare, per quel che ne rimane, una fascia la quale raffigura i segni dello zodiaco probabilmente allusione alla mutevolezza delle fortune dell’umanità determinata dal moto delle stelle.
Ai piedi possiede solo un calzare, Dawson Carr interpreta questa scelta come un chiaro riferimento alla leggenda di Giasone la quale narra che il re Pelia, tiranno ed usurpatore al trono, venne avvertito dall’oracolo che il suo regno sarebbe terminato quando giungerà un uomo con un solo calzare .

“Il re Pelia aveva appreso un oracolo, che l’aspettava
una sorte atroce in futuro: chi tra i suoi sudditi
avesse visto venire calzato di un solo sandalo,
quello con le sue trame gli avrebbe dato la morte
Non molto tempo dopo, secondo il tuo oracolo, Giasone mentre guardava d’inverno l’Anauro,
trasse in salvo dal fango, un sandalo solo e l’altro lo lasciò in fondo all’acqua.”[5]
Questo rimando alla leggenda di Giasone, probabilmente allude all’altra faccia della fortuna cioè alla cattiva sorte o Fato. L’Uomo alla sinistra seduto sopra una roccia che osserva la dea quasi con desiderio è interpretato come la personificazione del Caso.

Semidisteso su una roccia questa figura, potrebbe ricordare i nudi eroici dipinti da Michelangelo nella volta sistina a Roma, forse è una mia ipotesi un po’ azzardata ma osservando il dipinto lo potremmo mettere a confronto con la Creazione di Adamo.

Egli tiene nella mano sinistra delle fascette di carta, anche qui Dawson Carr ipotizza che queste strisce possano rappresentare i biglietti di una lotteria, i quali naturalmente non rientrano nella simbologia classica ma piuttosto sono un chiaro riferimento temporale alle lotterie civiche che a quel tempo andavano molto di moda; in più possiedono un altro riferimento e cioè sono uno degli emblemi araldici adottati da Isabella d’Este, marchesa di Mantova [6].

La coppa dorata che sta di fianco al Caso probabilmente è un urna dove i biglietti vengono mescolati per poi essere pescati. Queste due figure sicuramente stanno a significare la volubilità e mutevolezza della fortuna che può arridere o capovolgersi improvvisamente portando sfortuna .

Probabilmente commissionato da Isabella d’Este [7] (1474-1539) il dipinto presenta nella sua completezza un avvicinamento alla scuola romana, studio artistico che si concentra sulla rappresentazione della figura umana. Come ben sappiamo, tramite gli scritti di Paolo Giovio suo biografo, la vita della Marchesa fu molto complicata e non sempre facile. La perdita più terribile fu quando morì suo marito Francesco I Gonzaga nel 1519. Dal momento in cui il marito venne a mancare, l’influenza che esercitava Isabella alla corte di Mantova si ridusse al minimo, ma dopo il matrimonio del figlio primogenito, avvenuto nel 1531 con Margherita Paleologa, la marchesa riacquistò in gran parte l’influenza perduta. L’interpretazione che Carr conferisce alla decorazione situata al centro dell’urna, la quale raffigura due corone unite grazie a due foglie di palma intrecciate, probabilmente è un riferimento al matrimonio del figlio che per la marchesa è stato un “ritorno alle origini” [8]. È nel campo delle arti che si deve la più vasta notorietà di Isabella d’Este, resa possibile grazie a tutte le committenze ed il collezionismo esercitato da quest’ultima. Naturalmente non vi sono solo questi indizi che possono provare la committenza attuata da Isabella d’Este: per esempio Dosso Dossi conobbe la marchesa nel 1512 circa, quando lavorò per la corte mantovana [9] e nel 1519 quando visitò la collezione di Isabella assieme a Tiziano.
La bibliografia inerente a questo dipinto è scarsa. Riscoperto solo nel 1988 venne acquistato l’11 gennaio 1989 dal J. Paul Getty Museum presso la casa d’aste Christie’s a New York. Secondo un’etichetta del XIX secolo, presente sul rovescio, precedentemente apparteneva alla collezione Litta di Milano e molto prima ancora è presente nell’inventario del 1624 del cardinale Alessandro d’Este poi probabilmente passato a Carlo Emanuele I di Savoia, annotato nell’inventario del 1635 redatto da Antonio dalla Corona, pittore romano, in cui al n. 465 vi è “ una donna ignuda sedente sopra un mondo con cornucopia, et altra figura d’huomo. Vien da Dossi da Ferrara. Mediocre” [10]. Di conseguenza i vari studiosi che si sono occupati della datazione di questo dipinto concordano sul fatto che sia stato realizzato tra le nozze di Federico( 1531) e la morte della marchesa Isabella, avvenuta nel 1539. Il dipinto si presentava in buone condizioni anche se si notano i danni subiti per l’eccessiva pulitura, la radiografia che è stata effettuata sul dipinto mostra una composizione sottostante del tutto diversa: in basso a sinistra si può osservare un angelo con accanto un’altra figura non identificabile, forse il soggetto di cui stiamo parlando è Tobia e l’angelo?

Bibliografia
Ballarin Alessandro, Dosso Dossi: la pittura a Ferrara negli anni del Ducato di Alfonso I, colum. I-II, Bertoncello Arti Grafiche, 1994, Padova
Biederman Han, Le Garzantine, Simboli, Garzanti editore s.p.a., 1991
Cordiè Carlo, Enciclopedia della mitologia, Garzanti Editore s.p.a., 1990
Gibbons Felton, Dosso e Battista Dossi: pittori di corte a Ferrara, 1968
Le Garzantine, Enciclopedia dell’antichità classica, Garzanti libri s.p.a., 2000
Picard Charles preface de, Dictionnaire de la mythologie greque et romaine, Presses Universitaire de France, 1951, Paris
Pierguidi Stefano, “Dare forma humana a l’honore et la virtù”: Giovanni Guerra (1544-1618) e la fortuna delle figure allegoriche da Mantegna all’Iconologia di Cesare Ripa, Bulzoni Editore, 2008, Roma
Ripa Cesare, Iconologia, Giulio Enaudi ed., 2012, Torino
Verheyen Egon, The Paintings in the Studiolo of Isabella d’Este, University press, 1971, New York
[1] Vedi Humfrey 1992, p.25
[2] Vedi C. Cordié,2002 p.39
[3] Cit. Cesare Ripa, 2012, p. 207
[4] Ivi, p. 208
[5] Proemio Argonautiche libro I, 1-22, Apollonio Rodio
[6] Vedi D. Carr, 1997, p. 28
[7] Marchesa di Mantova, figlia primogenita del Duca Ercole I d’Este e di Eleonora d’Aragona. Donna di grande interesse culturale divenne marchesa sposando nel 1490 Francesco II Gonzaga.
[8] Vedi Gibbons, p.215
[9] Dizionario dell’arte, 2007, p. 348
[10] Vedi Di Vesme, 1897, p.53