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La Duchessa Brutta di Quentin Massys, potrebbe essere un Travestito?

Avete presente la Regina di Cuori di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll

A quanto pare quella donnona dai tratti grotteschi e dagli occhietti porcini è ispirata a uno dei ritratti più celebri della National Gallery di Londra, ovvero il Ritratto di vecchia (o Duchessa brutta, 1513 ca.) di Quentin Massys (1465-1530). 


Quentin Massys, Ritratto di vecchia (La Duchessa brutta), 1513, National Gallery, Londra

La definizione di Duchessa Brutta

Nel XVII secolo, il dipinto fu erroneamente identificato come un ritratto di Margaret Maultasch, duchessa di Carinzia e Contessa del Tirolo, una figura storica che era stata diffamata dai suoi nemici come la “donna più brutta della storia”. Da quel momento l’opera è divenuta nota come The Ugly Duchess, la Duchessa Brutta

Ritratto di Margherita di Tirolo-Gorizia, detta Margherita Boccagrande o Boccalarga o Maultasch

L’epoca Vittoriana

In epoca vittoriana l’opera, insieme ai ritratti grotteschi di Leonardo da Vinci -conosciuti sicuramente anche da Quentin Massys- ha ispirato John Tenniel  che ha dato per primo il volto alla celebre Regina di Cuori (1865).

John Tenniel, illustrazione per Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll.

Ritratto di vecchia di Massys, insieme al pendant Ritratto di vecchio (collezione privata, New York), costituisce un singolare ritratto di coppia, che sfida sfacciatamente ogni tradizionale canone di bellezza rinascimentale. 

Quentin Massys, Ritratto di vecchia (La Duchessa brutta), 1513, National Gallery, Londra; Ritratto di vecchio, Collezione privata, New York.

L’opera di Quentin Massys

Una donna anziana con occhi vispi, dai tratti infossati e rugosi porge un bocciolo di rosa -fiore dalle chiare connotazioni sessuali – al suo amato, che impassibile e un po’ sdegnato lo rifiuta. 

Appare chiaro l’intento scherzoso dell’artista che invita l’osservatore a ridere della stupidità di questi due vecchi che si comportano come se fossero ancora giovani amanti, in particolare la donna che sfida la modestia che ci si aspetta dalle donne anziane del Rinascimento. 

Quentin Massys, Ritratto di vecchia (La Duchessa brutta), 1513, National Gallery, Londra.

Salta all’occhio difatti l’eccessiva esuberanza provocatoria dell’abito della vecchia: un corpetto scollato e strettamente allacciato sottolinea la sua scollatura rugosa, mentre il volto dai tratti grotteschi è enfatizzato dal copricapo “cornuto”, sul quale ha posto un velo bianco fissato da una grande spilla ingioiellata.

Per quanto raffinato possa sembrare il suo abbigliamento, in realtà si rifà ad una moda superata da molti decenni, provocando dunque nei contemporanei risate piuttosto che ammirazione. In particolare Il suo copricapo “diavolesco” era ormai diventato simbolo della vanità femminile.

E se la Duchessa brutta fosse invece un travestito?

Secondo la studiosa Emma Capron, curatrice della mostra “The Ugly Duchess: Beauty and Satire in the Renaissance” (Londra, National Gallery, fino all’11 giugno 2023), la Duchessa brutta essere un cross-dresser che gioca sul genere e sui temi della vecchiaia e della bruttezza, tipici del Rinascimento. 

Il personaggio ritratto non raffigurerebbe dunque una donna affetta dalla malattia di Paget, una malattia rara che causa l’ipertrofia ossea (tesi proposta da un medico nel 2008), piuttosto un personaggio fittizio e folcloristico legato al carnevale e al genere delle raffigurazioni grottesche, come quelle di Leonardo da Vinci.

Alice Meini: Dopo la aurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Pisa, ha lavorato come mediatore museale e operatore bibliotecario. Successivamente ha conseguito un master in Progettazione di attività e percorsi didattici per le istituzioni culturali presso lo IED di Venezia con una tesi sulla peer education nei musei. Sogna un museo partecipativo, inclusivo e accessibile in grado di favorire il coinvolgimento attivo e creativo dei visitatori. Appassionata di cinema e letteratura, ama -anche troppo- le citazioni…pertanto ha deciso di chiudere questa bio con le parole di Enzo Mari: “tutti dovrebbero progettare…è l’unico modo per non essere progettati”.

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