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IL GIAPPONISMO IN ITALIA: l’arrivo e la diffusione dell’esotico nella penisola

IL GIAPPONISMO IN ITALIA

Il fenomeno del giapponismo, la fascinazione per le pratiche artistiche e culturali del Giappone, esploso nella seconda metà dell’Ottocento partendo dalla Francia attraversò le Alpi e giunse col tempo anche in Italia. Nonostante l’impatto che ne scaturì non ebbe la medesima importanza che all’estero, si tratta in ogni caso di un periodo di rilevanza nella storia artistica della nazione.

Il giapponismo, Giacomo Puccini Madama Butterfly

Come avvenne anche in altri paesi europei l’ondata del gusto per l’esotico e del giapponismo non investì solamente l’ambito artistico ispirando pittori, ma coinvolse anche quello musicale, letterario e teatrale. Esempio lampante di questa diffusa contaminazione è l’opera del compositore italiano Giacomo Puccini Madama Butterfly vede come protagonista una giovane geisha. Tale opera si ispira alla storia vera di Yamamuru Tsuru trasformata poi nella geisha protagonista Cio-Cio-San, caratteristica che la rendeva diversa dalle altre opere.

L’opera, inoltre, trae ispirazione anche dal dramma Madame Butterfly realizzato dal commediografo statunitense David Belasco, a sua volta ispirato da un racconto omonimo del 1898 dello scrittore americano John Luther Long. Le vicende sono ambientate in una città portuale giapponese, nella quale una giovane geisha viene data in sposa ad un ufficiale della marina americana. La protagonista Madama Butterfly, a causa di questo matrimonio e dell’amore non corrisposto, andrà incontro a vicende dolorose che la porteranno al tentativo di togliersi la vita. Ciò che rende unica l’opera è l’atmosfera esotica che caratterizza l’intera partitura e che sarà un unicum nel panorama artistico del compositore.

Il tema centrale dell’opera pucciniana è lo scontro tra due civiltà e l’incompatibilità tra Oriente ed Occidente, rappresentando attraverso la musica l’opposizione e l’unione di questi due mondi.

Madama Butterfly di Puccini in un'illustrazione del pittore e cartellonista italiano Leopoldo Metlicovitz
Madama Butterfly in un’illustrazione del pittore e cartellonista italiano Leopoldo Metlicovitz (1868-1944)

La diffusione di Vittorio Pica

Personaggio fondamentale ed uno dei primi critici d’arte a dimostrare interesse, e a riuscire poi a diffonderlo, per la cultura e l’arte giapponese è stato Vittorio Pica. I numerosi scritti da lui prodotti dedicati al Giappone hanno permesso, anche, di meglio comprendere il giudizio che si aveva su questo specifico ambito. Egli nel corso della sua carriera ha preso parte anche a conferenze, ad esempio L’arte dell’Estremo Oriente svoltasi presso il Circolo filologico di Napoli domenica 3 marzo 1894, i quali atti hanno dato origine all’omonima pubblicazione.

Le conferenze sul Giapponismo

Durante queste conferenze venivano inoltre mostrate, a supporto degli interventi, immagini di xilografie di artisti come Hokusai (1760-1849) e Utamaro (-1806), di architetture e di oggettistica decorata come ad esempio vasellame. Riguardo l’arte giapponese il critico affermava «l’arte giapponese è un’arte essenzialmente moderna» riscontrando sia nell’arte che nella poesia «lo stesso appassionato interesse per le bellezze naturali, un’istessa tendenza a compenetrarsi della letizia o della tristezza dell’ambiente fisico ed a cercare nella flora, nella fauna, nei fenomeni metereologici le suggestive immagini atte ad esprimere l’intime gioie, gl’intimi dolori della propria anima».

Pica grazie ai suoi scritti ha permesso di attuare unapertura di tipo internazionale, facendo in modo che il gusto italiano non si soffermasse solo sulle pratiche regionali e nazionali. Importanti furono gli articoli pubblicati sulla rivista Emporium, in un numero del 1896 arrivò a scrivere «Assai scarso è tuttora […] il numero delle persone che in Italia conoscono e apprezzano siccome merita l’arte del Giappone, quest’arte tanto originale e tanto geniale nelle multiformi sue manifestazioni».

Così come esortava che non ci si focalizzasse solo ed esclusivamente sulle arti maggiori, ovvero pittura, scultura ed architettura, ma che si prendesse in considerazione anche le minori nelle quali l’arte giapponese si è specializzata. Grazie alla collaborazione con importanti case editrici del tempo ha permesso anche la valorizzazione, ed una maggiore comunicazione, degli stessi musei d’arte orientale presenti in Italia. In particolare è possibile citare il volume del 1907 LArte dellEstremo Oriente nel Museo Chiossone di Genova edito dall’Istituto Italiano d’Arti grafiche di Bergamo. Come spesso accaduto il forte interesse per il mondo orientale ha portato conseguentemente all’acquisto di manufatti e anche lo stesso Pica ha realizzato una collezione d’arte giapponese, della quale oggi però rimangono solo testimonianze indirette.

 Vittorio Pica, L’Arte dell’Estremo Oriente nel Museo Chiossone di Genova, Istituto Italiano d’Arti grafiche di Bergamo, 1907.
Vittorio Pica, L’Arte dell’Estremo Oriente nel Museo Chiossone di Genova, Istituto Italiano d’Arti grafiche di Bergamo, 1907.

Pica a sua volta guardò ad Edmond de Goncourt, in particolare furono le sue pubblicazioni riguardanti i grandi artisti giapponesi ad alimentare il suo interesse per quest’arte. Inoltre era anche assiduo lo scambio di lettere e gli incontri fra i due, è grazie infatti a questi incontri che Vittorio Pica ebbe modo di conoscere la tecnica della xilografia.

Tecnica della quale de Goncourt era grande appassionato e collezionista, in particolare degli artisti Hokusai, Utamaro, Toyokuni e Hiroshige. Pica arrivò a scrivere «Fu così che viaggiai per la prima volta nel Giappone, già da lunghi anni adorato ed intravvisto attraverso le pagine dei libri ed i miraggi dei sogni […] io non posso fare a meno di mandare un affettuoso ed ossequente saluto a colui che nell’immaginario viaggio mi fu guida dotta e preziosa e che seppe accrescermene l’intellettuale godimento con la sua parola affascinante e coloritrice, e Edmondo de Goncourt, all’artista altero, novatore, geniale, che così gloriosamente onore le lettere francesi».

Ciò che era ammirabile dell’arte giapponese, secondo Pica, era il delicato senso del colore, la maestria di sintesi visiva e l’antipatia che gli artisti giapponesi hanno sempre dimostrato nei confronti della simmetria utilizzata in occidente.

Altro efficace metodo per la diffusione dell’arte e della cultura orientale furono anche le esposizioni di carattere internazionale. In particolare nella Biennale del 1897 venne realizzata una mostra dedicata all’arte giapponese, rappresentando il primo caso significativo in Italia. In seguito a Torino per l’Esposizione Internazionale d’Arte decorativa moderna del 1902, per la prima volta in Italia, venne dedicata un’intera sezione alle testimonianze giapponesi.

Il Giapponismo nell’arte italiana

Numerosi furono gli artisti italiani che non solo vennero ispirati nelle loro pratiche dallo stile orientale, ma che arrivarono anche a collezionare opere provenienti dal Giappone. Un’esempio tra tutti è lo scultore Vincenzo Ragusa (1841-1927), il quale si recò presso il Paese del Sol Levante tra il 1876 e il 1882 per svolgere l’attività di professore di scultura occidentale, e lì raccolse circa 4.000 opere oggi parte del Museo delle Civiltà di Roma.

Ulteriore artista che ha subito il fascino dell’arte giapponese e che poi lo ha riversato nelle sue opere è stato il pittore milanese Eleuterio Pagliano (1826-1903), egli custodiva nel suo studio oggetti da collezione tra i quali anche lacche giapponesi. Quando a seguito della sua morte, avvenuta nel 1903, si organizzò un’esposizione postuma tra le opere si trovò anche una tela alla quale era stato attribuito il titolo di Figura femminile in costume giapponese, oggi parte del patrimonio della Galleria d’Arte Moderna di Milano.

L’opera è un caso unico della produzione dell’artista principalmente rivolta alla tradizione neoclassica, essa venne realizzata su commissione del cavaliere Giulio Mylius proveniente da una famiglia specializzata nella produzione di seta. Si suppone che la tela fosse stata scelta con questa tematica in modo da dialogare armonicamente con gli oggetti giapponesi esposti nella dimora Mylius a Milano.

La dimora Mylius a Milano

La dimora negli anni si trasformò in un vero e proprio museo privato aperto al pubblico, il Museo Mylius, la collezione venne poi battuta all’asta nel 1929. Tornando all’opera la protagonista occidentale, con indosso un kimono e tra le mani un ventaglio tradizionale sensu, è circondata da un’ambientazione immaginaria giapponese composta da un paravento decorato e a terra si trova un poggiatesta, una stuoia ed un volume scritto in ideogrammi kanji.

Anche l’artista Gerolamo Induno (1825-1890), vicino allo stesso Pagliano, inserì nell’opera La lezione di ballo un paravento giapponese con figure che derivano dalle tradizionali xilografie.

Ma è possibile citare anche Giuseppe De Nittis (1846-1884) con, ad esempio, le opere Il paravento giapponese del 1878 e Tra i paraventi del 1879, le quali mostrano un indubbio interesse per il giapponismo. L’artista era anche collezionista e la casa della famiglia era colma di decorazioni ed oggetti provenienti dal Giappone stesso; si pensa infatti che l’opera precedentemente citata del 1879 prenda proprio spunto dalle atmosfere dell’abitazione.

De Nittis sicuramente venne influenzato anche dalle frequentazioni che intratteneva a Parigi con altri pittori che attraversarono la medesima fase stilistica, ovvero Degas con l’opera Collezionista di stampe e Manet con il dipinto Signora con ventagli del 1873-74. In particolare l’artista Edgar Degas (1834-1917) per la realizzazione degli studi di donne al bagno intente a lavarsi, asciugarsi o pettinarsi prese spunto direttamente dal primo quaderno della serie dei quindici Quaderni manga di Hokusai.

Questi quaderni colmi di schizzi riguardanti l’uomo, gli animali e la natura furono una sorta di enciclopedia illustrata e fonte d’ispirazione per numerosi artisti e pittori europei.

Giuseppe De Nittis e il giapponismo, Il paravento giapponese
Giuseppe De Nittis, Il paravento giapponese, 1878.

Grazie a De Nittis anche il pittore abruzzese Francesco Paolo Michetti (1851-1929) si avvicinò prima all’Impressionismo e conseguentemente alle tecniche di decorazione e alle gamme cromatiche dell’arte nipponica. L’influenza fu tale che ad un certo punto della sua carriera pensò di trasferirsi in Giappone al fine di insegnare presso l’Accademia di Tokyo.

Il suo stile si caratterizza per l’introduzione di aspetti stilistici tipici delle xilografie giapponesi in scene pastorali ambientate in Abruzzo. Ne è esemplificazione l’opera La raccolta delle zucche, la quale con probabilità venne esposta presso la 89ª edizione dell’Esposizione di Belle Arti di Parigi e successivamente acquistata da un collezionista francese; per questo rimase sconosciuta ai più per anni.

Il dipinto, però, era stato poi puntualmente descritto da Gabriele D’Annunzio, divenendo popolare. Venne esposto lo sfondo composto da un passaggio roccioso con in primo piano contadine e contadini intenti nel raccogliere zucche di colori diversi e dalle forme più disparate, alcune addirittura simili a teschi. Una nebbia vaporosa, che rende quasi onirica l’atmosfera, avvolge i protagonisti e la vegetazione.

Francesco Paolo Michetti, La raccolta delle zucche
Francesco Paolo Michetti, La raccolta delle zucche

L’influenza del Giapponismo in Francia

Ancora Galileo Chini (1873-1956) artista e ceramista, durante i suoi soggiorni a Parigi, si rese conto di quanto l’arte giapponese fosse fonte d’ispirazione per gli artisti europei appassionandosi poi egli stesso. Fondamentale fu, anche in questo caso, l’amicizia con Edmond De Goncourt e Samuel Bing, conoscitori e collezionisti francesi d’arte, per lo sviluppo della passione per questo genere artistico che portò Chini a scrivere articoli nei quali invitava gli artisti italiani ad introdurre nella loro poetica questi canonici stilistici esotici, riscuotendo l’approvazione anche dal critico Vittorio Pica.

Le sue pratiche artistiche permisero di introdurre anche nell’ambito delle arti applicate un nuovo stile, reso originale e al passo con i tempi dall’inclusione di temi provenienti dal giapponismo ma con una rielaborazione personale attuata dall’artista stesso. Tra i vasi da lui realizzati è possibile riconoscere rimandi alle xilografie Ukiyo-e di Hokusai ed Hiroshige (1797-1858) con rappresentazioni di fiori, acqua, pesci e carpe di chiaro influsso giapponese.

Il giapponismo si è manifestato nella produzione di ogni artista con caratteristiche proprie e sempre diverse, unendosi in maniera personale a stile e tendenze occidentali; come nel caso del pittore Antonio Mancini (1852-1930). All’interno della sua produzione si colloca l’opera Ventaglio giapponese del 1915, qui l’artista unisce al suo stile verista gli influssi dei viaggi compiuti a Parigi durante i quali avrà sicuramente avuto modo di vedere ventagli come quello rappresentato nell’opera citata. La protagonista, una donna dai capelli scuri e portati raccolti, si staglia dallo sfondo scuro e tiene tra le mani un ventaglio giapponese.

Il giapponismo di Antonio Mancini, Ventaglio giapponese
Antonio Mancini, Ventaglio giapponese, 1915

Grazie, quindi, a figure come critici d’arte, storici, commercianti ed artisti anche in Italia il fenomeno del giapponismo è riuscito ad espandere le proprie radici. Il ricordo di tale periodo culturale è ancora oggi riscontrabile nelle sale dei musei d’arte orientale sparsi per la penisola derivanti, nella maggior parte dei casi, proprio da collezioni private costituitesi nella seconda metà dell’Ottocento da chi venne rapito da questa fascinazione.

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