Mec-Art di Alain Jacquet
Alain Jacquet
Alain Jacquet (1939 – 2008)

Nel 1962 Alain Jacquet (1939-2008), architetto e pittore autodidatta, iniziò a realizzare  una serie di dipinti che chiamò Camouflages in cui sovrapponeva a capolavori della storia dell’arte immagini della vita quotidiana, come una pompa di benzina dipinta su una riproduzione della Nascita di Venere di Botticelli o un cartello stradale che copre una replica in gesso della Leda di Michelangelo. Già da queste prime opere appare chiaro l’intento di Jacquet, ovvero riflettere sull’unicità della produzione artistica. Beh… per Jacquet…nessuna opera è “unica”.

Alain Jacquet, Camouflage Botticelli (Birth of Venus), 1963-64
Alain Jacquet, Camouflage Botticelli (Birth of Venus), 1963-64

Nei “Camouflages” di Jacquet l’immagine diventa ambigua, indeterminata. Si divide, si traveste tra forme astratte e figure identificabili, tra icone dell’arte e icone della società di massa. 

Jacquet gioca con l’immagine e si diverte a trasformarla, a deviarla. Come vuole la Pop Art, mescola immagini popolari e familiari e capolavori della storia dell’arte. Le sovrapposizioni, il gioco di parole e l’omonimia nascondono – e svelano – lo sguardo di Jacquet, a volte critico, spesso molto divertente.

Nonostante il successo di queste opere, nel 1963 si ha la svolta, con la sua riflessione sulla percezione visiva e sulla sintesi cromatica: 

“A poco a poco le immagini si sono fatte più nitide, poi si sono mischiate, mimetizzate l’una dentro l’altra come fanno i camaleonti; stava diventando troppo complesso. Tre colori sarebbero bastati se avessi rinunciato alla giustapposizione; sovrapponendo, tutti i colori apparivano vibranti”. 

Un anno dopo, nel 1964, Jacquet realizzò una delle sue opere più famose: Le Déjeuner sur l’herbe dal famoso dipinto di Édouard Manet (1832-1883). Questa è la sua prima opera di Mec-Art (Arte Meccanica), termine coniato dal critico d’arte e suo caro amico Pierre Restany per designare un’arte che si avvale di procedimenti meccanici di riproduzione dell’immagine, soprattutto fotografici, e che predilige l’utilizzo da mezzi derivati dalla stampa popolare.

Tra i membri di questo movimento troviamo Bertini, Bury, Rotella, Kessanlis con i quali ha partecipato alla mostra “Homage to Nicéphore Niepce” alla Galerie J. segnando la consacrazione di questo movimento.

Obbiettivo principale di questi artisti era quello di riflettere sulla funzione sociale e comunicativa dell’arte diffondendo un nuovo modo di fare arte mediante le innovazioni tecnologiche in opposizione alle ambizioni idealistiche della pittura da cavalletto tradizionale. 

Il gruppo, in primis Jacquet, respingeva non solo la concezione di genio, coltivata specialmente dagli esponenti della pittura informale, ma anche l’idea di esclusività estetica e di unicità dell’opera d’arte. 

I “mec-artisti” si ponevano come fedeli osservatori della realtà della vita contemporanea, guardando con interesse alla ricca offerta di immagini fotografiche e ai nuovi miti della quotidianità: dal mondo illusorio della pubblicità, dello show business e del consumismo alle immagini di guerre, catastrofi e cronaca nera.  

Al posto della pittura su tela con colori e pennelli, la tecnica preferita dei“mec-artisti” prevedeva l’utilizzo di una tela fotosensibile e di tecniche fotografiche di produzione.

Édouard Manet, Colazione sull'erba (Le Déjeuner sur l’herbe), Musée d'Orsay, Parigi, 1862-63
Édouard Manet, Colazione sull’erba (Le Déjeuner sur l’herbe), Musée d’Orsay, Parigi, 1862-63
Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, 1964

Come nel celebre quadro di Manet, nel Déjeuner sur l’herbe di Jacquet due uomini e una donna siedono sull’erba mentre una quarta persona appare in lontananza, al centro dell’immagine. 

L’artista coinvolge nella realizzazione di questo Tableau vivant alcuni suoi amici: la donna in primo piano è la gallerista Jeanine de Goldschmidt, l’uomo disteso è Pierre Restany mentre il giovane tra i due è il pittore italiano Mario Schifano.

Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettaglio, 1964
Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettaglio, 1964

Jacquet pone la sua firma, con un certo sarcasmo, sulla confezione di pane in casetta posto sulla coperta, sminuendo così il ruolo stesso dell’artista.

Jacquet, difatti, gioca e riflette sull’idea stessa di riproducibilità tecnica: l’ingrandimento dell’istantanea fotografica crea e nasconde al contempo una nuova immagine, mentre la riproduzione in serie sfida l’idea dell’unicità dell’opera d’arte. 

Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettaglio ingrandito, 1964
Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettaglio ingrandito, 1964
Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettaglio ingrandito, 1964
Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettaglio ingrandito, 1964

Il dipinto è stato stampato in 95 esemplari su tela e più di 40 su carta, tutti diversi tra loro. Successivamente Jacquet ha prodotto numerosi dipinti in formati diversi dai dettagli di quest’opera emblematica: ritratti isolati e ingranditi dei personaggi, elementi del paesaggio, acqua, fogliame, ombre…

Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettagli ingranditi, 1964
Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettagli ingranditi, 1964

L’insieme di queste opere costituisce un vasto repertorio di ricerca sulla rielaborazione in serie delle immagini, nonché forme inedite di astrazione ai limiti dell’optical art.

Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettaglio ingrandito, 1964
Alain Jacquet, Déjeuner sur l’herbe, dettaglio ingrandito, 1964

Alice Meini

Dopo la aurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Pisa, ha lavorato come mediatore museale e operatore bibliotecario. Successivamente ha conseguito un master in Progettazione di attività e percorsi didattici per le istituzioni culturali presso lo IED di Venezia con una tesi sulla peer education nei musei.
Sogna un museo partecipativo, inclusivo e accessibile in grado di favorire il coinvolgimento attivo e creativo dei visitatori. Appassionata di cinema e letteratura, ama -anche troppo- le citazioni…pertanto ha deciso di chiudere questa bio con le parole di Enzo Mari: “tutti dovrebbero progettare…è l’unico modo per non essere progettati”.

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