La Fascinazione del Giappone: il Giapponismo

L’arte orientale, in particolare l’arte giapponese, è oramai conosciuta dal grande pubblico e apprezzabile in numerose istituzioni culturali dedicate ed in mostre temporanee; ma non è sempre stato così. Il Giappone in passato veniva percepito come meta sconosciuta e attorniata da un alone di mistero e per questo ricca di fascino.

Varie sono state le ondate di fascinazione provenienti dal Giappone che nel corso dei secoli hanno investito l’Europa, ma sicuramente la più importante può essere definita quella avvenuta nell’Ottocento e che prende il nome di giapponismo.

Dal periodo di chiusura all’apertura

Le radici di tali fenomeni devono essere ricercate nella storia della nazione giapponese, al momento della chiusura delle frontiere nazionali.

Periodo Edo

Ciò avvenne nel corso del periodo Edo (1603-1868) quando ottenne il potere la famiglia Tokugawa, la quale instaurò un governo di tipo shogunale. Nel 1637, venne emanato un editto shogunale che stabilì la chiusura delle frontiere giapponesi e da quel momento in poi a nessun straniero era concesso l’ingresso, così come a nessun giapponese era consentita l’uscita dal Paese.

Così, il Giappone si chiuse per due secoli in se stesso. Gli obiettivi che si sono identificati per l’attuazione di una politica di questo genere sono ideologici, di sicurezza, commerciali ed economici e culturali. Vennero, infatti, mantenuti rapporti ristretti per consolidare l’autorità nipponica, i paesi selezionati condividevano le medesime basi ideologiche e culturali.

L’unico luogo di contatto, ufficialmente, fu la zona di Nagasaki, dove venne consentito l’ingresso ai commercianti e naviganti cinesi e alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, ma era comunque consentito anche il libero circolo di popolazioni limitrofe come gli Ainu, i coreani e degli abitanti del regno Ryūkyū. Quindi per anni le informazioni su questa misteriosa nazione provenirono dai mercanti o dalle testimonianze e dai racconti di missionari.

Periodo Meiji

L’esplosione della tendenza del giapponismo si colloca nel passaggio dal periodo Edo (1603-1868) al periodo Meiji (1868-1912) e con la conseguente apertura del Paese. Apertura che avvenne con l’arrivo, nel 1853, del Commodoro Matthew Perry, il quale con la marina statunitense iniziò a forzare il blocco giapponese presso la baia di Edo aggiudicandosi il titolo di colui che “aprì” il Giappone.

Alla squadra americana, fecero poco dopo seguito anche altre potenze come Inghilterra, Russia e Francia. Giungendo, così, alla fine degli anni Cinquanta, dove lo Shōgun si vide costretto ad acconsentire a porre fine all’isolamento del Paese del Sol Levante. Da questo momento in poi si apre una nuova era che vede l’avvento della modernità e della tecnologia, giungendo alla nascita di un nuovo Giappone.

La concretizzazione del giapponismo

La nuova accessibilità alla nazione del Sol Levante portò con sé un’ondata di interesse e fascinazione, portando gli oggetti di produzione giapponese a viaggiare ed a raggiungere le coste straniere. Ossessione e smania di esotico fecero aumentare le richieste.

Per quanto riguarda il settore artistico, tra il 1850 e il 1870, le pregiate xilografie giunsero in Olanda per poi iniziare a circolare in tutta Europa. Numerose, da questo momento in poi, furono le mostre organizzate in gallerie e da parte di collezionisti che permettevano agli europei di avere un assaggio di quelli che erano i paesaggi del lontano Giappone grazie
alle stampe xilografiche.

Il Giapponismo all’Esposizione Universale di Parigi

Nel 1867, l’Esposizione Universale di Parigi, presentò pubblicamente, per la prima volta in assoluto, un padiglione interamente dedicato al Giappone; venendo definita come uno degli eventi che contribuì maggiormente alla conoscenza e all’apprezzamento dei manufatti orientali. Dando anche il merito a Parigi di essere il principale centro europeo di diffusione nipponica. Lo stesso avvenne anche nell’Esposizione universale nel 1878 che vide anche la collaborazione del governo giapponese stesso.

L’apprezzamento sempre crescente ed in seguito l’imitazione di usi, costumi e pratiche artistiche orientali prende il nome di giapponismo. Il termine venne coniato dall’artista incisore francese Philippe Burty nel 1872, riferendosi in modo particolare all’impatto che il Giappone esercitò sull’arte francese. Egli tramite il neologismo japonisme aveva l’intenzione di raggruppare una serie di articoli pubblicati dalla rivista La Renaissance littéraire et artistique, nei quali venivano trattati argomenti giapponesi tra i quali arte, letteratura o filosofia. Egli descrisse il significato del termine come «tutto ciò che riguardava la storia, la cultura e l’arte giapponese e qualsiasi influenza osservabile che hanno avuto sull’arte francese». Fondamentale per la spinta del giapponismo fu anche la rivista Le Japon Artistique, ideata dal commerciante Siegfried Bing.

L’obiettivo principale delle pubblicazioni era quello di favorire la comprensione dell’arte orientale e facilitarne l’incontro con il pubblico ancora inesperto attraverso testi esplicativi e riproduzioni di opere che dovevano essere in grado di rappresentare una riproduzione fedele degli originali, come affermò Bing stesso. La rivista, inaugurata nel 1888, divenne ben presto un’enciclopedia dell’arte giapponese e iniziò ad essere collezionata.

Le tematiche trattate nelle pubblicazioni erano estremamente varie dalla ceramica, alla xilografia e architettura giapponese fino a giungere al teatro. Siegfried Bing stesso divenne collezionista creando sia una collezione privata che una galleria a Parigi nella quale vendeva ogni tipo di oggetto antico e contemporaneo proveniente dal Giappone.

I fratelli Edmond e Jules de Goncourt

Tra i personaggi in ambito francese che ebbero il merito di diffondere la conoscenza dell’arte giapponese e di favorirne l’apprezzamento vi sono i fratelli Edmond e Jules de Goncourt, in particolare Edmond. Il suo operato fu rilevante perché nel 1891 pubblicò la prima monografia storica sull’artista Utamaro, e nel 1896 quella su Hokusai.

Si trattava dei primi prodotti editoriali incentrati su questo genere artistico con un approccio critico e dovevano far parte di una collana di dodici monografie, che però non si concluse a causa della morte dell’autore. I fratelli de Goncourt furono anche accaniti collezionisti, scrivendo nei loro diari di essere stati i primi a scoprire l’arte giapponese e di averla poi fatta conoscere in Francia «(il gusto per le giapponeserie) siamo stati i primi a introdurlo nel mondo, e ora questo gusto si è impadronito di tutto e di tutti».

Copertina del volume n. 10 del 1889 di Le Japon artistique
Copertina del volume n. 10 del 1889 di Le Japon artistique

Il giapponismo nell’arte

Il punto di svolta che portò a far riflettere in profondità e con sensibilità sui valori estetici del Giappone fu la conoscenza della xilografia, in particolare della xilografia Ukiyo-e, ovvero le immagini del mondo fluttuante dell’Ukiyo. Mondo che prende forma dalla filosofia e dallo stile di vita Ukiyo, il quale insegna ad apprezzare i piccoli piaceri del quotidiano, come l’apprezzare il suono di una campana o il vedere sbocciare un fiore.

Un piacere, quindi, molto poetico e semplice; quello che potrebbe definirsi come la versione orientale del carpe diem occidentale. Le immagini che ne derivano rappresentano scene di vita quotidiana abitate da attori Kabuki, da lottatori di Sumo, da donne e anche geishe. La tecnica di produzione utilizzata è quella della stampa xilografica, la quale in questo periodo ebbe un ampio sviluppo. Grandi maestri di questa tecnica e che permisero agli artisti europei di entrarvi in contatto, furono sicuramente Hokusai e Hiroshige.

L’influenza del Giappone sugli Impressionisti

È oramai risaputo di come grandi artisti come Édouard Manet, Claude Monet, Edgar Degas e Vincent van Gogh trassero ispirazione per la realizzazione di alcune delle loro opere proprio dalle splendide xilografie policrome del mondo fluttuante Ukiyo-e. Questo avvenne perché nel panorama artistico occidentale si era alla ricerca di nuovi fonti d’ispirazione e nuove sfumature da introdurre ed amalgamare nelle proprie opere.

Ad esemplificazione di questo può essere riportato uno stralcio di una lettera scritta da van Gogh indirizzata al fratello Theo del 1888 «In un certo senso tutto il mio lavoro si fonda sull’arte giapponese. L’arte giapponese, decadente nel suo paese, si radica nuovamente tra gli artisti impressionisti francesi». Il pittore olandese nel corso della sua carriera collezionò numerose stampe e nelle sue stesse opere iniziò a rappresentare scenari e paesaggi della sua visione del Giappone, ne sono un esempio le opere Giapponeseria: prugno in fiore 1887) e Giapponeseria: ponte sotto la pioggia (1887), che traggono ispirazione dallo stile di Hiroshige.

James Whistler fu uno dei primi artisti a subire gli effetti del giapponismo, realizzando opere nelle quali le protagoniste indossano kimono o si armano di ventagli come in Sinfonia in bianco, ritratto n. 2 (1864) oppure in Sinfonia in bianco n. 3 (1867). Forse una delle opere più conosciute che rappresenta l’influsso del giapponismo è Camille Monet con costume giapponese (1876) di Claude Monet. Quadro nel quale la protagonista Camille Monet, mentre indossa un colorato kimono con ricamato sul tessuto anche un samurai, tiene in mano un ventaglio modello Sensu (ovvero il ventaglio pieghevole) e la parete che fa da sfondo alla scena è adornata da molteplici ventagli modello Uchiwa (tradizionali, caratterizzati da una forma circolare di carta washi ed un manico di bambù, non sono richiudibili).

Inoltre l’artista Edgar Degas per la realizzazione degli studi di donne al bagno intente a lavarsi, asciugarsi o pettinarsi prese spunto direttamente dal primo quaderno della serie dei quindici Quaderni manga di Hokusai. Questi quaderni colmi di schizzi riguardanti l’uomo, gli animali e la natura furono una fonte d’ispirazione per numerosi artisti e pittori europei. Altro artista che è possibile citare è James Tissot che inserì giapponeserie nelle sue opere come nel dipinto Giovani donne che osservano oggetti giapponesi (1869-1870), ed egli fu anche collezionista.

James Whistler, Sinfonia in bianco, ritratto n. 2, 1864, olio su tela, National Gallery,
Londra
James Whistler, Sinfonia in bianco, ritratto n. 2, 1864, olio su tela, National Gallery,
Londra

Gli artisti menzionati hanno tratto ispirazione non solo dalle stampe dei grandi artisti Ukiyo-e, ma anche da artisti contemporanei giapponesi, uno dei massimi esempi è stato Watanabe Seitei (1851-1918). Egli è stato uno dei primi artisti giapponesi a visitare l’Europa, in particolare Parigi, nel 1878 e nel corso della sua carriera realizzò disegni per l’arte applicata e dipinti di stile giapponese ma pensati per il consumo internazionale.

Si specializzò principalmente nel genere kachō-ga, con fiori ed uccelli, e mantenne sempre una forte connessione con la tradizione e l’arte orientale ma riuscendo anche a modellarla grazie al suo soggiorno all’estero e anche per il fatto che gli oggetti e le opere realizzate erano pensate per un mercato ampio, portandolo ad introdurre nelle sue rappresentazioni tridimensionalità ed estrema cura per i dettagli.

Questo mantenimento della tradizione è ciò che lo contraddistingue da altri artisti nipponici i quali invece in Europa hanno totalmente rivoluzionato il loro stile. Seitei a Parigi frequentò salotti culturali con personaggi di spicco del momento come i fratelli de Goncourt, inoltre ebbe modo di donare un suo dipinto intitolato Uccelli su un ramo a Degas.

Watanabe Seitei, Estate. Glicine in fiore e pesci, 1891, cartiglio appeso, inchiostro e
colore su seta, Museo Nazionale di Cracovia
Watanabe Seitei, Estate. Glicine in fiore e pesci, 1891, cartiglio appeso, inchiostro e
colore su seta, Museo Nazionale di Cracovia

Ulteriori effetti e scambi del Giapponismo

Ma il gusto per l’orientale non solo si riversò sull’arte ma anche sull’abbigliamento, l’arredamento, la letteratura, la musica ed il teatro. In particolare gli interscambi si manifestarono anche nel settore della moda. Prima a Parigi e successivamente in tutta Europa abiti di influsso giapponese e kimono erano diffusi sia su riviste di moda che per le strade; al tempo stesso in Giappone si iniziava ad indossare abiti di stile occidentale.

Il giapponismo ha avuto anche il merito di favorire il commercio e l’acquisto di oggetti ed opere d’arti giapponesi in Europa dando vita a ricche ed eterogenee collezioni che hanno poi portato alla nascita di importanti musei dedicati all’arte orientale; come ad esempio il Musée Cernuschi di Parigi nato dalla collezione appartenuta al banchiere Enrico Cernuschi e composta durante gli anni Settanta dell’Ottocento. Tale fenomeno conobbe il suo primo e massimo sviluppo in Francia, più precisamente a Parigi, per poi prendere piede in tutta Europa ed anche in Italia.

Musée Cernuschi
Musée Cernuschi

Così come il Giappone stava esercitando una forte influenza sull’Occidente, a sua volta anche il Giappone entrò in contatto con innovazioni, tecnologie e tecniche di lavorazione che non erano allora conosciute, come ad esempio dal punto di vista dei servizi e delle infrastrutture le ferrovie ed i treni e dal punto di vista artistico la fotografia. Inoltre gli artisti giapponesi assimilarono tecniche europee come il chiaroscuro e la prospettiva. Inoltre fu importante lo scambio di oggetti come specchi ed anche di tecniche di lavorazione occidentali come quella del vetro.

Ma di conseguenza questa ventata di modernità fece perdere all’Oriente la caratteristica principale che lo rendeva attraente agli occhi degli europei, ovvero il suo essere diverso. Dal momento dell’apertura delle frontiere i porti di Yokohama, Nagasaki, Kobe e Hakodate divennero zone d’interazione tra locali e stranieri. Le stampe di artisti tradizionali come Chikanobu Yoshu iniziarono a popolarsi non più di geishe, ma di carrozze, treni e personaggi che indossavano abiti occidentali. Inoltre ancora prima dell’apertura ufficiale dei porti giapponesi giunse nel 1825 il pigmento blu di Prussia, particolarmente apprezzato dagli artisti Ukiyo-e i quali lo sostituirono ai pigmenti di origine naturale.

Il tramonto e la ripresa del Giapponismo

Entrando nel nuovo secolo oramai l’arte giapponese era conosciuta, passando rogressivamente di moda. Tanto che nell’Esposizione universale del 1900 di Parigi non vennero più enfatizzate le opere orientali, ma il nuovo fenomeno dell’Art Nouveau.

Successivamente si vive una nuova ondata di interessamento, che viene definita come New Japonisme da parte dell’economista Jean Pierre Lehmann, mentre quella precedente dell’Ottocento prende il nome di Old Japonisme. In questa nuova ondata, però, il Paese diviene fonte d’ispirazione principalmente come modello economico- finanziario, infatti era oramai diventato una potenza economica e tecnologicamente avanzata.

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