Eva Dea, artista del Giapponismo italiano
Quando si tratta delle personalità che hanno avuto il merito di portare e di diffondere
nel Vecchio Continente la fascinazione nei confronti dell’arte e della cultura giapponese, si tende a fare riferimento principalmente a viaggiatori e collezionisti.
Ma nel corso della storia vi sono state anche figure femminili di elevata importanza e la quale influenza è stata indubbia. In particolare è possibile nominare O’Tama Kiyohara, pittrice che ha portato l’arte giapponese ed il suo studio in Italia e un’artista italiana che ha assorbito il gusto giapponista e gli insegnamenti di O’Tama, ovvero Eva Dea; la quale può essere definita come una tra le prime artiste facente parte della corrente del giapponismo italiano.
O’Tama Kiyohara: ponte tra Giappone e Italia
Una figura alla quale è possibile attribuire il merito di aver saputo unire l’Oriente e l’Occidente sia nell’arte che nella vita è stata la pittrice O’Tama Kiyohara. Essa rappresenta un caso unico nel suo genere perché è riuscita ad unire l’arte e la cultura di due mondi apparentemente distanti. O’Tama Kiyohara (1861-1939) nata a Tokyo venne introdotta all’arte della pittura e del disegno in giovane età, ad undici anni.
Data la già avvenuta apertura del Giappone ai commerci con l’estero ella, già dai suoi primi studi, fu esposta allo stile occidentale. In questo clima di apertura di scambi culturali ed artistici durante gli anni Settanta dell’Ottocento in Giappone si stava tentando di aprire una scuola d’arte guidata da artisti italiani per insegnare pittura, scultura, tecniche di incisione, lavorazione del marmo, del bronzo e della creta. Tra gli artisti selezionati dall’Accademia di Brera vi era anche lo scultore Vincenzo Ragusa.
O’Tama Kiyohara e Vincenzo Ragusa
Lo scultore e la pittrice si innamorarono e da quel momento iniziò una relazione anche artistica nella quale Ragusa insegnò ad O’Tama a dipingere oggetti e soggetti in maniera realistica, esercitandosi inizialmente proprio alla riproduzione di oggetti appartenenti alla collezione stessa dello scultore. Successivamente nel 1882 i due si trasferirono in Italia. Il trasferimento in Italia avvenuto all’età di ventuno anni, in particolare a Palermo, mutò il suo stile facendo trasparire influssi occidentali grazie alle lezioni del pittore Salvatore Lo Forte.
L’obiettivo di Vincenzo Ragusa era anche quello di fondare una scuola d’arte applicata all’industria giapponese a Palermo, per la quale O’Tama diresse la sezione femminile insegnando le tecniche della lavorazione della ceramica. Inoltre insieme al marito prese parte all’Esposizione Nazionale di Palermo, esponendo all’interno del padiglione delle Belle Arti.
Oltre ad essere pittrice sia di gusto orientale, che di gusto occidentale fu donna di cultura, benefattrice e forniva anche lezioni private di pittura, acquerello, pastello, affresco, e ricamo giapponese. È proprio in questo contesto che anche l’artista Eva Dea avrà modo di ricevere lezioni di pittura e di sviluppare il suo stile giapponista. Anche lo stile di vita delle due artiste è molto simile, entrambe dedicate alle arti, al loro insegnamento e trasmissione e con una connessione con il Giappone. Questa volontà di O’Tama di trasmettere arte e cultura proseguirono anche a seguito della morte del marito avvenuta nel 1927.
Partendo da uno stile tipico della Scuola Kano, O’Tama Kiyohara impara anche ad utilizzare la prospettiva e la tecnica del chiaro-scuro tipica occidentale. In Italia poi si appassionò e prese spunto dall’arte rinascimentale. Ma nella sua produzione continuarono comunque ad essere presenti le sue radici giapponesi con paraventi e dipinti raffiguranti giovani giapponesi, fiori e gru.
Geishe con kimono e ventagli
Vi sono anche numerose rappresentazioni di geishe con kimono e ventagli, come ad esempio l’opera Fanciulla giapponesedel 1898. Prolifica fu anche la sua produzione di acquarelli. Due tele particolarmente pregevoli fanno parte della Collezione Mazzocchi di Coccaglio (Brescia) e sanciscono il legame con l’artista Eva Dea, la prima Rami con cachidel 1919 rappresenta con il realismo occidentale un frutto tipico della cultura orientale. La seconda opera Natura morta con fichi d’Indiadel 1919 circa è realizzata con un gioco di luci e ombre e con un’accuratezza nei dettagli di influsso occidentale. Verso la fine degli anni Venti del Novecento, così come avvenne nel resto d’Europa, anche in Italia l’interesse verso il Giappone iniziò a spegnersi.
Eva Dea: artista del giapponismo italiano
L’artista italiana Eva Dea nel corso della sua vita ha avuto un rapporto privilegiato con la cultura del Paese del Sol Levante e con testimonianze artistiche di stile orientale e giapponista, non solo per il fatto di aver ricevuto lezioni di pittura da O’Tama Kiyohara. Ma anche per il fatto di essere stata la nuora del collezionista e viaggiatore Pompeo Mazzocchi; bachicoltore e commerciante che a seguito di numerose spedizioni svolte in Giappone ha dato vita ad una vasta collezione di xilografie, oggetti in avorio, ceramiche e oggetti d’uso quotidiano provenienti dal Giappone, collezione che ha dato origine al Museo d’Arte Orientale – Collezione Mazzocchi. Eva Dea stessa ha avuto modo di esporre tali oggetti nella propria dimora, respirando un clima nipponico.
Eva Linda Francesca Caterina Dea
Eva Linda Francesca Caterina Dea nasce a Teglio, in provincia di Sondrio, il 1 luglio 1888. Cresce poi a Berbenno di Valtellina con la famiglia composta dal padre Virginio Dea, la madre Catina e due fratelli. Uno di essi si trasferì poi a Milano, uno a Clusane (BS), mentre Eva sposò Cesare Mazzocchi stabilendosi anch’ella nel comune di Coccaglio (BS).
Viene ricordata dagli abitanti del comune della Franciacorta come donna dall’innata eleganza e dai modi gentili, anche nel parlare lasciava trasparire la sua bontà d’animo. Ma Eva Dea era soprattutto donna intelligente e di cultura, amava ogni genere d’arte, dalla pittura alla musica.
Sia lei che il marito Cesare Mazzocchi sono stati personaggi di cultura che negli anni Venti e Trenta frequentarono i salotti milanesi, arrivando a conoscere personalità di spicco, musicisti e pittori, come Walter Toscanini, figlio del grande direttore d’orchestra. Stretto era anche il legame con il pittore Carlo Prada, il quale dipinse per i coniugi diverse opere tra le quali il ritratto di Pompeo, di Cesare Mazzocchi e di Eva Dea, quest’ultimo attualmente disperso.
All’interno del catalogo Carlo Prada pittore realizzato in occasione di una mostra temporanea dedicata al pittore presso Galleria Pesaro di Milano nel gennaio 1922, è stata riconosciuta l’immagine della suddetta opera. Così come tra i documenti dell’Archivio della Fondazione Mazzocchi sono stati trovati cinque disegni a carboncino realizzati dall’artista, datati 1917, raffiguranti personaggi intenti nel suonare strumenti musicali.
Eva Dea e l’amicizia con Vincenzo Ragusa e la moglie O’Tama Kiyohara
Ulteriore amicizia di spessore in ambito artistico fu quella con lo scultore italiano Vincenzo Ragusa e la moglie e pittrice giapponese O’Tama Kiyohara. Vi sono fotografie risalenti al 1919 che testimoniano i loro incontri a Palermo, inoltre come simbolo di quest’amicizia i coniugi Mazzocchi portarono a Coccaglio con loro due quadri della pittrice orientale. Un quadro risalente al 5 marzo 1919 rappresentante i rami di una pianta di cachi ed un quadro rappresentate una natura morta con fichi d’india.
In particolare il primo quadro è corredato anche da una dedica per Eva Dea in kanji giapponesi: Alla pittrice Eva, Palermo marzo 1919. Questi, ed altri incontri con personaggi di spessore, indubbiamente influirono positivamente su Eva Dea e sulla sua formazione artistica e culturale.
La carriera da pittrice e l’amore per l’arte orientale
La sua carriera da pittrice è testimoniata dalle numerose opere conservate nel deposito della Fondazione Mazzocchi e alcune di esse esposte negli uffici della RSA Fondazione Pompeo e Cesare Mazzocchi Onlus, presso il comune di Coccaglio. La produzione si dimostra eterogenea includendo nature morte, ritratti, repliche di opere a carattere religioso, dipinti rappresentanti fiori e paesaggi onirici.
Eva Dea riuscì ad affinare la sua tecnica essendo stata per un periodo allieva di Emilio Borsa a Monza, pittore di talento che presso l’Accademia di Brera ebbe come insegnate il grande Francesco Hayez. Sul retro di un arazzo da lei realizzato è stata trovata la scritta: Eva Dea a 20 anni Monza, allieva di Emilio Borsa 1909. Quindi la sua produzione pittorica si va ad inserire nella scuola di Hayez.
I ritratti
All’interno della produzione vi sono anche ritratti, alcuni di essi realizzati in onore di abitanti del paese o anche altri tipi di oggetti come piattini decorati. Le sue prime opere sono firmate come “Eva Dea”, dopo l’incontro con Cesare Mazzocchi su alcuni dipinti è presente l’iscrizione “Cesare Mazzocchi Eva Dea {coniugi” ed in seguito al matrimonio con Cesare Mazzocchi inizierà ad apporre alle opere la firma Cesareva. La sua passione per la pittura era tale che nella residenza Mazzocchi anche i sopraporta e le mattonelle della cucina erano state da lei decorate.
L’arte giapponese
Probabilmente grazie al marito Cesare e alla collezione raccolta dal suocero Pompeo Mazzocchi imparò anche ad apprezzare l’arte giapponese. Con il tempo si affezionò alla collezione orientale, tanto che la fece esporre come fosse un vero e proprio museo al piano terra sul lato destro della loro dimora, come testimoniato da fotografie ritrovate. Dai racconti si evince anche che all’ingresso era stato collocato un registro per la firma dei visitatori.
Inoltre pare che abbia utilizzato come fonte d’ispirazione per la realizzazione di un porta ventaglio in bronzo, attualmente esposto presso il Museo d’Arte Orientale – Collezione Mazzocchi, alcuni disegni dei Quaderni Manga di Hokusai acquistati direttamente da Pompeo Mazzocchi in Giappone.
Nello specifico una pagina, rappresentante una peonia di montagna giapponese, riporta dei suoi appunti scritti a mano dove il fiore viene scambiato per un fiore di loto. Il porta ventaglio, che sorregge un ventaglio cinese, venne inizialmente classificato come scultura in bronzo buddista. Ma in seguito all’analisi della lavorazione del bronzo, al ritrovamento della pagina del Quaderno Manga e di bozzetti preparatori realizzati da Eva Dea, è stato classificato come sua opera. Dimostrando, quindi, come la sua produzione artistica dai dipinti includa anche la progettazione di oggetti.
L’influsso giapponista è testimoniato anche da un bozzetto trovato. Tra i soggetti prediletti da Eva Dea vi erano vasi con fiori, tra i numerosi disegni preparatori lasciati. Uno in particolare presenta sul vaso la rappresentazione di una donna giapponese con kimono. Anche gli stessi arredi che si trovavano nella dimora Mazzocchi era stati decorati da Eva Dea stessa con questo influsso, come ad esempio un parafuoco in stile orientale.
Eva Dea come prima conservatrice della Collezione Mazzocchi
Per questi motivi Eva può essere considerata come la prima conservatrice della Collezione Mazzocchi, contribuendo anche nel corso degli anni ad incrementarla non solo con opere da lei realizzate, ma anche con opere di altri artisti.
È probabile che oggetti come bomboniere dallo stile giapponese, ma provenienti da Milano, non siano state acquistate da Pompeo Mazzocchi come inizialmente pensato, ma che siano un acquisto di Eva Dea. Così come le maschere che erano state trovate allestite insieme a due armature di samurai, ora esposte all’interno del Museo, sono state da lei dipinte. Anche vasi e piatti in ceramica decorati con motivi geometrici e floreali erano state sue acquisizioni presso negozi di antiquariato di Milano.
La passione per il Giappone traspare anche dai copricapi in stile orientale che realizzava in pergamena dipinta, due di essi sono tuttora conservati e vi sono fotografie di lei mentre li indossa. Nelle fotografie che la ritraggono nella sua abitazione è possibile anche notare cuscini con ricamate o dipinte Oiran. Il direttore del Museo, Paolo Linetti, afferma che questo tipo di lavorazione non è tipico giapponese, quindi potrebbero essere stati dipinti da lei.
Ella non solo amò l’arte per tutta la sua vita, ma cercò anche di trasmettere ad altri questa passione. Per questo offrì il suo aiuto a ragazzi e fanciulle di Coccaglio che, come lei, si sposarono in giovane età. Cercò di proteggerli e di istruirli insegnando loro a cantare e a suonare il pianoforte, proprio come O’Tama Kiyohara fece con lei in ambito pittorico.
La morte di Eva
Eva morì all’età di 71 anni, il 30 giugno del 1959, e venne sepolta nel cimitero di Coccaglio. Cesare, poco dopo la morte della moglie, iniziò ad occuparsi della stesura del testamento, morendo in seguito il 6 ottobre 1961 all’eta di 78 anni. La coppia non aveva avuto figli, quindi probabilmente anche per questo motivo l’intera eredità è stata lasciata ai comuni di Torbole Casaglia e di Coccaglio, nel bresciano.
Il testamento
Il testamento, infatti, prescrisse la costruzione di una Casa di riposo a favore degli anziani dei due comuni gestita da una Fondazione, probabilmente su suggerimento di Eva Dea stessa. La realizzazione della Fondazione ha portato successivamente anche alla realizzazione di un Museo.
Ancora oggi il ricordo di questa donna straordinaria, del marito e del suocero Pompeo continuano a vivere a Coccaglio, anche attraverso le opere esposte presso il Museo d’Arte Orientale – Collezione Mazzocchi.